Alcune speci di pesci possono contenere, al momento del consumo, quantità di istamina in grado di provocare allergie in individui sensibili. Come possiamo prevenire tale pericolo? Lo spiego nell’ articolo.
Consultando il portale del Sistema di Allerta Rapido per Alimenti e Mangimi (RASFF) mi sono soffermato sui richiami dal mercato di prodotti ittici per presenza di contenuti elevati di istamina che si sono verificati nel 2017 ed ho notato che tale problema è abbastanza ricorrente; neanche il 2018 sembra essere iniziato bene, visto che c’è stato già un richiamo riguardante una colatura di alici prodotta da un’ Azienda del Salernitano per presenza di Istamina oltre i limiti di legge (ben 2850 ppm). Il problema è di grande attualità, perchè, se ingerita in quantità elevate, l’ istamina, può provocare la cosiddetta sindrome sgombroide.
L’ istamina è una ammina che deriva dal processo di decarbossilazione dell’ istidina, un amminoacido presente in grandi quantità nelle proteine delle seguenti famiglie di pesci:
- SGOMBRIDI: tonno, sgombro, palamita
- CLUPEIDAE: sardina, aringa
- ENGRAULIDAE: acciughe
- CORYPHENIDAE: lampuga
- POMATOMIDAE: pesce serra
- SCOMBERESOCIDAE: costardella
Responsabile di questa reazione è l’ enzima L-istidina decarbossilasi che viene prodotto da varie speci microbiche presenti sulla pelle dei pesci sopra citati. Le speci microbiche principalmente coinvolte sono: escherichia coli, salmonelle, shigella dysenteriaee, clostridium perfringens. La decarbossilazione della L-istidina avviene a temperature superiori a 5 °C con un optimum intorno a 20 – 30 °C; tuttavia, seppure in minima parte, l’ istamina si origina anche dai processi di autolisi legati alla decomposizione del prodotto.
COSA SI PUO’ FARE PER DIMINUIRE IL LIVELLO DI ISTAMINA NEI PRODOTTI ITTICI
AL MOMENTO DELLA PESCA
IN FASE DI TRASFORMAZIONE
Le aziende che trasformano i prodotti ittici, al fine di ridurre i livelli di istamina nel prodotto finito dovrebbero adottare le seguenti azioni preventive:
- Acquistare solo prodotto di ottima qualità
- Evitare le cross-contamination durante il ciclo di lavorazione
- Assicurare il mantenimento della catena del freddo durante il periodo di stoccaggio
- Evitare la permanenza del prodotto a temperature troppo elevate durante le operazioni di scongelamento
A nulla serve la cottura del prodotto ed il trattamento termico di sterilizzazione (se previsto) perchè l’ istamina è termoresistente; necessiterebbero tempi di esposizione molto lunghi affinchè venga distrutta, almeno 116 °C per 90 minuti, ma non sono proponibili nella pratica industriale.
Per quanto riguarda le azioni preventive sopra elencate, è chiaro che sull’ acquisto della materia prima vi sono sempre delle incognite; per quanto ci si affidi a fornitori affidabili e qualificati non conosciamo la storia della materia prima che stiamo acquistando e, come, già detto sopra, il pesce può contenere elevati valori di istamina pur presentando caratteristiche organolettiche tipiche di un prodotto di buona qualità. In definitiva, l’ esame organolettico non ci da nessuna garanzia ed, a mio parere, per gestire il pericolo Istamina bisogna ricorrere all’ analisi sulla materia prima in entrata. Esistono in commercio dei Kit per l’ analisi dell’ Istamina che possono essere molto utili per i controlli in accettazione. E’ chiaro che lo scopo del kit è solo quello di evitare di mettere in produzione materia prima non idonea perchè in caso di valori elevati riscontrati e ai fini di eventuali contestazioni bisogna confermare i dati con le analisi effettuate da un laboratorio certificato.
DURANTE LA SOMMINISTRAZIONE
Bisogna assicurare il mantenimento della catena del freddo e ridurre al minimo la contaminazione del prodotto con la manipolazione; per le semiconserve, ad esempio, alici marinate, il mantenimento della catena del freddo è un requisito fondamentale, ma anche il prodotto sterile come il tonno, una volta che la confezione è stata aperta deve essere conservato in regime di freddo e mantenuto costantemente coperto con olio; inoltre, deve essere consumato nel piu’ breve tempo possibile, nel giro di qualche giorno al massimo. Nel piano HACCP, chi somministra tali prodotti (ristorante, mensa aziendale, ecc.) dovrebbe anche registrare quando è stata aperta la confezione, onde evitare di somministrare un prodotto a confezione aperta per troppi giorni. Ovviamente, le raccomandazioni suddette valgono anche per il consumo domestico, sebbene il rischio che le confezioni rimangano per troppo tempo aperte è ridotto, considerato che quelle destinate all’ utilizzo domestico sono generalmente piccole e consumabili in una sola volta.