prolungare shelf-life dei prodotti da forno

I prodotti da forno costituiscono una vasta gamma di prodotti alimentari dalla composizione a volte anche molto complessa. Questa tipologia di prodotti si presta ad una grande diversificazione ed il settore è in continua evoluzione.

Ciò che accomuna i prodotti da forno è la complessità della loro composizione e una certa instabilità che fa si che essi siano caratterizzati da una shelf-life limitata. Visono vari fenomeni che contribuiscono al loro decadimento, in particolare:

  • raffermimento
  • assorbimento o perdita di umidità
  • alterazione microbiologica
  • comparsa di sapori ed odori indesiderati
  • perdita di aromi
  • variazione di consistenza


Ne consegue che il produttore, nel definire la shelf-life del prodotto deve possedere una approfondita conoscenza delle sue caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche onde poter adottare tutti i provvedimenti finalizzati a ritardare il piu’ possibile la comparsa dei fenomeni sopra descritti.

UMIDITÀ

La percezione di freschezza di un prodotto da forno è strettamente legata al suo contenuto di umidità;  mano mano che il prodotto invecchia, perde acqua e diminuisce la sensazione di freschezza. D’ altra parte, l’ eccessivo contenuto di umidità ne potrebbe pregiudicare la conservabilità dal punto di vista microbiologico.

E’, infatti, noto che i microrganismi si moltiplicano piu’ velocemente in matrici con un elevato contenuto di umidità e, piu’ precisamente con elevato contenuto di acqua libera (Aw), definita fisicamente come rapporto tra la tensione di vapore dell’acqua nell’alimento (p) e quella dell’acqua pura alla stessa temperatura alla quale si trova il prodotto (po):

                                                                aw = p/po

Dunque, ai fini della deperibilità microbiologica del prodotto non è tanto importante l’ umidità %, quanto il valore di Aw, ovvero, il parametro che definisce quanto l’ acqua è legata agli altri componenti del prodotto.

I valori di Aw possono variare da 0 (acqua totalmente legata ai componenti del prodotto) ad 1 (acqua completamente libera). L’attività dell’acqua si misura con appositi apparecchi igrometrici, particolarmente costosi, oppure può essere calcolata matematicamente dagli ingredienti utilizzando opportuni software.

Da quanto detto sopra, appare evidente la necessità, per quanto possibile, di abbassare la Aw, sia per porre un freno alla moltiplicazione microbica, sia per rallentare la perdita di acqua del prodotto con  conseguente perdita delle caratteristiche di freschezza.

Ciò è ottenibile, ad esempio, agendo sull’ ingredientistica; ad esempio, determinate sostanze caratterizzate dalla presenza di gruppi ossidrili (-OH) come gli zuccheri, lo sciroppo di sorbitolo, lo zucchero invertito avendo affinità con l’ acqua, la legano contribuendo a diminuire la Aw.

Anche le fibre, come l’ inulina, particolarmente abbondante nella cicoria, hanno la capacità di legare l’ acqua come pure gli emulsionanti tipo la lecitina. Quest’ultima è presente in abbondanza nelle uova e laddove esse fanno parte della ricetta,  un quantitativo appropriato da sicuramente un contributo positivo.

RAFFERMAMENTO

Il raffermamento (o staling) è un fenomeno studiato sin dall’Ottocento ma non ancora chiarito in tutti i suoi aspetti. Si sa per certo che include differenti fenomeni simultanei e interdipendenti, fra i quali la cosiddetta retrogradazione dell’amido – ovvero lo sviluppo di strutture cristalline a carico soprattutto dell’amilopectina (la sua frazione ramificata).

La velocità alla quale procede il raffermamento viene influenzata dalla formulazione: presenza di acqua, zuccheri, sale, grassi, proteine, miglioranti/additivi. Diversi studi sono stati condotti anche su pentosani e fibra, ma con esiti discordanti fra loro, forse motivati dalle differenze a livello di peso molecolare, tipo (pentosani solubili ed insolubili) e concentrazione.

Molte ipotesi concordano tuttavia sul fatto che la maggiore umidità del pane ottenuto con alte percentuali di pentosani garantisce una maggiore morbidezza della mollica. Questo si spiega con l’aumento della quantità di acqua ‘trattenuta’, dunque con la modificazione dei meccanismi di migrazione dell’acqua”.

Ad agire sulla velocità del raffermamento intervengono infine alcune variabili di processo, quali
– lievitazione: processi di tipo indiretto, soprattutto con madre acida, aumentano la resistenza del pane all’invecchiamento grazie alla maggiore alveolatura e alla presenza dei metaboliti microbici (esopolisaccaridi prodotti dai lattobacilli);
– cottura: il pane cotto a basse temperature rimane ‘fresco’ per tempi più lunghi forse per minor grado di disordine del granulo d’amido e, di conseguenza, minor livello di retrogradazione; un forte spessore di crosta invece ha l’effetto contrario.
– temperatura di conservazione: il raffermamento è accelerato in condizioni di refrigerazione.

ALTERAZIONI MICROBICHE

Come abbiamo anticipato, le contaminazioni microbiche sono tra i principali fattori che limitano la shelf-life dei prodotti da forno. Il problema riscontrato più di frequente è la contaminazione da muffe, che può essere arginata agendo su diversi fattori:


composizione del prodotto: umidità, attività dell’acqua, pH (ideale se vicino a 5, ma in genere nei prodotti da forno varia da 6 a 7), additivi antimuffa (propionati e sorbati, ma attenzione, questi ultimi inibiscono anche i lieviti), alcool etilico;
livello di contaminazione iniziale: non solo delle materie prime, ma anche del materiale di confezionamento (primi fra tutti i cartoni, che dovrebbero pertanto essere trattati in ambienti separati);
condizioni sanitarie degli impianti: ogni ricettacolo di polvere è una potenziale fonte di inquinamento;
processo: il calore del forno, la filtrazione dell’aria, le irradiazioni delle lampade ultraviolette, le fumigazioni ambientali, sono tutti mezzi per diminuire il tasso di contaminazione;
distribuzione dei prodotti finiti durata e temperatura di conservazione; packaging (permeabilità all’umidità ed eventualmente all’alcool).


Tra i diversi trattamenti contro l’ammuffimento, certamente il più efficace è l’alcool, che viene impiegato in ragione dell’1% sul peso del prodotto finito. Può essere aggiunto sotto forma di solvente di aroma, di soluzioni alcoliche utilizzate ad esempio per inzuppare l’uvetta, o anche semplicemente spruzzato all’interno della confezione.


Non sono però le muffe, bensì alcuni batteri a provocare il difetto del ‘pane filante’; un’infezione che si manifesta come un rammollimento e imbrunimento a chiazze della mollica, che diventa appiccicosa, filante, giallognola e maleodorante. Responsabili sono i batteri sporigeni del genere Bacillus, in grado di produrre enzimi idrolitici che degradano amido e proteine.


Tali batteri derivano dall’ambiente, soprattutto dal terreno (importanza di pulirsi le scarpe prima di accedere ai laboratori!), e tendono a svilupparsi nella parte centrale dei pani di grossa pezzatura perché esposti ad un minore riscaldamento.

Il difetto del pane filante è più frequente di quanto si pensi, comunque può essere controllato scegliendo ricette e processi che assicurino una sufficiente acidità dell’impasto. 
Se non si vuole ricorrere ad additivi, come acido propionico, propionato di calcio, acido lattico e acido acetico, si possono impiegare metodi di impasto indiretti e, meglio ancora, lievito naturale, il cui sviluppo porta naturalmente alla formazione di acidi organici naturali.


È però essenziale prevenire la contaminazione a monte, adottando accorgimenti come pulizia accurata dell’ambiente e dei macchinari; conservazione delle farine in luogo fresco e asciutto; non effettuare fermentazioni a temperature molto elevate (il lievito porta alla produzione di alcool etilico a sfavore dell’acido lattico e acetico); effettuare una buona cottura (per abbassare il contenuto di umidità della mollica); raffreddare il pane in tempi brevi.

QUALITÀ DELL’ARIA

Il controllo dell’aria ambientale è necessario per ridurre la possibilità di contaminazione microbica. I contaminanti dell’aria vengono rimossi solitamente tramite il sistema di filtrazione, che deve essere opportunamente progettato, oltre che oggetto di manutenzione periodica e pratiche di pulizia e disinfezione efficienti.

Da dove arrivano i contaminanti dell’aria? Da impianti, materiali, insetti e volatili, ma principalmente dalle persone. Per questo motivo la gestione del personale è fondamentale nella prevenzione delle contaminazioni.

Ecco quali sono i suggerimenti a riguardo:

– creare un’area dedicata alla vestizione;
– ridurre i movimenti per evitare la formazione di milioni di particelle;
– non toccare gli abiti puliti con le mani sporche;
– adottare tappeti assorbi polvere, pulitori scarpe, dispensatori disinfettanti, contenitori raccolta rifiuti, ecc.;
– insistere nella formazione e addestramento del personale.


Nelle grosse aziende ci sono le camere bianche, ossia zone separate in cui il livello di contaminazione microbiologica deve essere rigorosamente controllato per evitare che il prodotto possa subire delle ricontaminazioni.


Si tratta di un concetto applicabile anche alle realtà artigianali?

Le camere bianche sono un concetto abbastanza ampio, perché vanno da zone quasi sterili dove ci vogliono delle particolari procedure, a quelle diciamo ‘grigie’ dove comunque c’è un controllo del numero delle particelle sospese in aria.
Quindi, in un certo senso, anche un ambiente condizionato può essere considerato una camera ‘grigia’, dove il rischio di inquinamento è comunque contenuto, pertanto anche solo il condizionamento dei locali degli artigiani deve essere non solo raccomandato, ma applicato sempre più, in particolare nelle fasi più critiche delle lavorazioni.

LE TECNOLOGIE CHE DANNO UNA MANO

L’uso del freddo è senza dubbio la tecnica più semplice e diffusa per rallentare la maggior parte delle reazioni che intercorrono nel corso della conservazione. Bisogna però tenere presente che anche a temperature molto basse non tutta l’acqua congela e, quindi, una parte rimane disponibile per le diverse reazioni. Ad esempio, nel pane tipicamente impiegato per gli hamburger a -18°C, si ha ancora una quantità non trascurabile di acqua non congelata (16,6%).


Anche il confezionamento in atmosfera protettiva è utile per prolungare la shelf-life dei prodotti da forno finiti. Questa tecnica consiste nella sostituzione dell’aria presente nella confezione con gas quali anidride carbonica e azoto al fine di contenere la crescita microbica e inibire l’ossidazione.


Si tratta di un sistema adottabile anche nelle pasticcerie artigianali; esistono macchine confezionatrici di piccole dimensioni e costo contenuto, talvolta inferiore ai 2.000 euro, che saldano una o più confezioni per volta.
Alcuni artigiani utilizzano l’atmosfera protettiva per i prodotti che possono andare maggiormente incontro ad alterazioni microbiche, come i cannoncini, oppure per quei prodotti suscettibili di ossidazioni, responsabili dello sviluppo di odori sgradevoli e modificazioni di colore.